giovedì 17 luglio 2014
Pianura
Certe sere vorrei salire
sui campanili della pianura,
veder le grandi nuvole rosa
lente sull'orizzonte
come montagne intessute
di raggi.
Vorrei capire dal cenno dei pioppi
dove passa il fiume
e quale aria trascina;
saper dire dove nascerà il sole
domani
e quale via percorrerà, segnata
sul riso già imbiondito,
sui grani.
Vorrei toccare con le mia dita
l'orlo delle campane, quando cade il giorno
e si leva la brezza:
sentir passare nel bronzo il battito
di grandi voli lontani.
Antonia Pozzi
Il cielo in me
Io non devo scordare
che il cielo
fu in me.
Tu
eri il cielo in me,
che non parlavi
mai del mio volto, ma solo
quand'io parlavo di Dio
mi toccavi la fronte
con lievi dita e dicevi:
- Sei più bella così, quando pensi
le cose buone -
Tu
eri il cielo in me,
che non mi amavi per la mia persona
ma per quel seme
di bene
che dormiva in me.
E se l'angoscia delle cose a un lungo
pianto mi costringeva,
tu con forti dita
mi asciugavi le lacrime e dicevi:
- Come potrai domani esser la mamma
del nostro bimbo, se ora piangi così? -
Tu
eri il cielo in me,
che non mi amavi
per la mia vita
ma per l'altra vita
che poteva destarsi
in me.
Tu
eri il cielo in me
il gran sole che muta
in foglie trasparenti le zolle
e chi volle colpirti
vide uscirsi di mano
uccelli
anzi che pietre
- uccelli -
e le lor piume scrivevano nel cielo
vivo il tuo nome
come nei miracoli
antichi.
Io non devo scordare
che il cielo
fu in me.
E quando per le strade - avanti
che sia sera -
m'aggiro
ancora voglio
essere una finestra che cammina,
aperta, col suo lembo
di azzurro che la colma.
Ancora voglio
che s'oda a stormo battere il mio cuore
in alto
come un nido di campane.
E che le cose oscure della terra
non abbiano potere
altro - su me,
che quello di martelli lievi
a scandere
sulla nudità cerula dell'anima
solo
il tuo nome.
Antonia Pozzi
Notturno
Curva tu suoni
ed il tuo canto è un albero d'argento
nel silenzio oscuro.
Limpido nasce dal tuo labbro - il profilo
delle vette - nel buio - .
Muoiono le tue note
come gocce assorbite dalla terra.
Le nebbie sopra gli abissi
percorse dal vento
sollevano il suono spento
nel cielo.
Antonia Pozzi
Prati
Forse non è nemmeno vero
quel che a volte ti senti urlare in cuore:
che questa vita è,
dentro il tuo essere,
un nulla
e che ciò che chiamavi la luce
è un abbaglio,
l'abbaglio supremo
dei tuoi occhi malati -
e che ciò che fingevi la meta
è un sogno,
il sogno infame
della tua debolezza.
Forse la vita è davvero
quale la scopri nei giorni giovani:
un soffio eterno che cerca
di cielo in cielo
chissà che altezza.
Ma noi siamo come l'erba dei prati
che sente sopra sé passare il vento
e tutta canta nel vento
e sempre vive nel vento,
eppure non sa così crescere
da fermare quel volo supremo
né balzare su dalla terra
per annegarsi in lui.
Antonia Pozzi
martedì 15 luglio 2014
Tu la notte io il giorno
Tu la notte io il giorno
così distanti e immutevoli
nel tempo
così vicini come due alberi
posti uno di fronte all`altro
a creare lo stesso giardino
ma senza possibilità di
toccarsi
se non con i pensieri
Tu la notte io il giorno
tu con le tue stelle e la luna
silenziosa
io con le mie nuvole ed il
sole abbagliante
tu che conosci la brezza
della sera
ed io che rincorro il vento
caldo
fino a quando giunge il
tramonto
I rami divengono mani
tiepide
che si intrecciano
appassionate
le foglie sono sospiri
nascosti
le stelle diventano occhi di
brace
e le nuvole un lenzuolo che
scopre la nudità
La luna e il sole sono due
amanti rapidi e fugaci
e non siamo più io e te
siamo noi fusi insieme
nella completezza della luce
fioca
ondeggiante come la marea
in eterna corsa...
So cosa significa amore
quando il giorno muore.
Antonia Pozzi
Il cielo in me
Io non devo scordare
che il cielo
fu in me.
Tu
eri il cielo in me,
che non parlavi
mai del mio volto, ma solo
quand'io parlavo di Dio
mi toccavi la fronte
con lievi dita e dicevi:
- Sei più bella così, quando pensi
le cose buone -
Tu
eri il cielo in me,
che non mi amavi per la mia persona
ma per quel seme
di bene
che dormiva in me.
E se l'angoscia delle cose a un lungo
pianto mi costringeva,
tu con forti dita
mi asciugavi le lacrime e dicevi:
- Come potrai domani esser la mamma
del nostro bimbo, se ora piangi così? -
Tu
eri il cielo in me,
che non mi amavi
per la mia vita
ma per l'altra vita
che poteva destarsi
in me.
Tu
eri il cielo in me
il gran sole che muta
in foglie trasparenti le zolle
e chi volle colpirti
vide uscirsi di mano
uccelli
anzi che pietre
- uccelli -
e le lor piume scrivevano nel cielo
vivo il tuo nome
come nei miracoli
antichi.
Io non devo scordare
che il cielo
fu in me.
E quando per le strade - avanti
che sia sera -
m'aggiro
ancora voglio
essere una finestra che cammina,
aperta, col suo lembo
di azzurro che la colma.
Ancora voglio
che s'oda a stormo battere il mio cuore
in alto
come un nido di campane.
E che le cose oscure della terra
non abbiano potere
altro - su me,
che quello di martelli lievi
a scandere
sulla nudità cerula dell'anima
solo
il tuo nome.
Antonia Pozzi
Preghiera alla poesia
Oh, tu bene mi pesi
l’anima, poesia:
tu sai se io manco e mi perdo,
tu che allora ti neghi
e taci.
Poesia, mi confesso con te
che sei la mia voce profonda:
tu lo sai,
tu lo sai che ho tradito,
ho camminato sul prato d’oro
che fu mio cuore,
ho rotto l’erba,
rovinata la terra –
poesia – quella terra
dove tu mi dicesti il più dolce
di tutti i tuoi canti,
dove un mattino per la prima volta
vidi volar nel sereno l’allodola
e con gli occhi cercai di salire –
Poesia, poesia che rimani
il mio profondo rimorso,
oh aiutami tu a ritrovare
il mio alto paese abbandonato –
Poesia che ti doni soltanto
a chi con occhi di pianto
si cerca –
oh rifammi tu degna di te,
poesia che mi guardi.
Antonia Pozzi
Coraggio
Dovetti percorrere migliaia di miglia di oceano per scoprire che la chiave della vita sta nel coraggio. Il coraggio è la volontà di affrontare la vita di ogni giorno con tutte le noie e le banalità che ne conseguono; è capire che non si è molto importanti, accettare la cosa e non lasciarsi distogliere dai propri sforzi.
Quando un uomo dice che ama il mare, ama l’illusione di dominarlo,
l’orgoglio della sua capacità, la vita speciale che si fa sul mare,
ma non il mare stesso.
Uno può essere toccato dalla sua bellezza e grandiosità,
oppure spaventato dalla sua immensità e capacità di distruzione,
ma non può amarlo più di quanto uno possa amare le stelle nello spazio infinito.
Ann Davison
Ho smesso di sorridere
Ho smesso di sorridere,
le labbra sono gelate,
ad una sola speranza
segue più di una canzone.
Senza colpa cederò il canto
al riso e alla profanazione,
ché al colmo del dolore
per l’anima è il silenzio
d’amore.
Anna Achmatova
In una notte bianca
Ah, non avevo chiuso la porta,
le candele non avevo acceso,
non sai come, stanca,
non mi risolvevo a coricarmi.
Guardare come si spengono le macchie
d'abeti nel buio del crepuscolo,
inebriandomi al suono d'una voce
che somiglia alla tua.
E sapere che tutto è perduto,
che la vita è un maledetto inferno!
Oh, io ero sicura
che saresti tornato.
Anna Achmatova
Ultimo brindisi
Bevo a una casa distrutta,
alla mia vita sciagurata,
a solitudini vissute in due
e bevo anche a te:
all'inganno di labbra che tradirono,
al morto gelo dei tuoi occhi,
ad un mondo crudele e rozzo,
ad un Dio che non ci ha salvato.
Anna Achmatova
A molti
Io sono la vostra voce, il calore del vostro fiato,
il riflesso del vostro volto,
i vani palpiti di vane ali...
fa lo stesso, sino alla fine io sto con voi.
Ecco perché amate così cúpidi
me, nel mio peccato e nel mio male,
perché affidaste a me ciecamente
il migliore dei vostri figli;
perché nemmeno chiedeste di lui,
mai, e la mia casa vuota per sempre
velaste di fumose lodi.
E dicono: non ci si può fondere più strettamente,
non si può amare più perdutamente...
Come vuole l’ombra staccarsi dal corpo,
come vuole la carne separarsi dall’anima,
così io adesso voglio essere scordata.
Anna Achmatova
lunedì 14 luglio 2014
Uomo del mio tempo
Sei ancora quello della pietra e della fionda;
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
-t'ho visto- dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all'altro fratello:
“;Andiamo ai campi!”. E quell'eco fredda, tenace
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
Salvatore Quasimodo
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
-t'ho visto- dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all'altro fratello:
“;Andiamo ai campi!”. E quell'eco fredda, tenace
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
Salvatore Quasimodo
venerdì 11 luglio 2014
Il ruscello
C'era una volta un giovane ruscello
color di perla, che alla vecchia valle
tra molli giunchi e pratoline gialle,
correva snello;
e c'era un bimbo che gli tendea le mani
dicendo: "A che tutto cotesto foco?
Posa un po' qui: si gioca un caro gioco
se tu rimani.
Se tu rimani, o movi adagio i passi,
un lago nasce e nell'argento fresco
della bell'acqua io, con le mani, pesco
gemme di sassi.
Fermati dunque, non fuggir così!
L'uccello che cinguetta ora sul ramo
ancor cinguetterà, se noi giochiamo
taciti qui".
Rise il ruscello e tremolò commosso
al cenno delle amiche mani tese;
e con un tono di voce cortese
disse: "Non posso!
Vorrei: non posso! il cuor mi vola: ho fretta.
A mezzo il piano, a leghe di cammino,
la sollecita ruota del mulino
c'è che mi aspetta;
e c'è la vispa e provvida massaia
che risciacquar la nuova tela deve
e sciorinarla sì che al sole neve
candida paia;
e v'è il gregge, che a sera porge il muso
avido a bere di quest'onda chiara,
e gode s'io lo sazio, poi ripara
contento al chiuso.
Lasciami dunque" terminò il ruscello
"correre dove il mio dover mi vuole".
E giù pel piano, luccicando al sole,
disparve snello.
Angiolo Silvio Novaro
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